8 SETTEMBRE 1943: io c’ero e non dimentico

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Franco Gentile
Fonte: politicaprima
Url fonte: http://www.politicaprima.com/2015/09/8-settembre-1943-io-c-e-non-dimentico.html

di Franco Gentile –  8 settembre 2015

Oggi è l’8 settembre, settanta anni fa a Cassibile in Sicilia il rappresentante del governo italiano presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio, sottoscriveva l’armistizio che poneva fine alle ostilità fra Italia e gli alleati anglo-americani.

La guerra per il governo italiano era finita ma per l’Italia non fu così. I tedeschi si attestarono sulle montagne del Lazio e fecero fronte contro gli alleati che avanzavano dal Sud. L’Italia fu divisa in due e da quel momento iniziò il periodo più tragico della storia italiana.

Mappa_Repubblica_Sociale_ItalianaBenito Mussolini fu liberato dai tedeschi e, sotto la pressione di Hitler, diede vita a quella che fu indicata come la Repubblica di Salò, dal nome della città dove si insediò il nuovo governo Presieduto dallo stesso Mussolini, e le bande partigiane nate con lo scopo di sabotare l’esercito tedesco nelle retrovie si trovarono nella necessità di dover fronteggiare l’esercito formatosi dopo la proclamazione della repubblica. E fu la guerra civile, sanguinosa, distruttrice e che caratterizzò, drammaticamente, tutto il 1944.

Gente-8-Settembre-1943Per ricordare quel tempo, nell’anno 2011, il settimanale Gente volle pubblicare una mia testimonianza che oggi voglio riproporre in questo blog perché possa servire da monito per le future generazioni.

“Non ci sono commenti a questi ricordi di guerra: bisogna solo leggerli perché non si dimentichi mai la nostra storia.

I giorni s’erano succeduti sempre eguali e secondo la solita routine. Dopo l’avvicendamento al caposaldo “Trento” stavamo riposando dopo i nove mesi di ininterrotto servizio di guardia.

La malaria continuava a tormentarci e l’attesa era lunga da un rancio all’altro. A Paramithia, in Grecia, dove eravamo stati richiamati, la vita si svolgeva secondo le regole della guarnigione di un presidio.

Bundesarchiv_Bild_101I-316-1181-11,_Italien,_Benito_Mussolini_mit_italienischen_SoldatenLa sera dell’8 settembre 1943, dopo il rancio, i soldati liberi dal servizio, andavano in su e giù a gruppetti per le vie della cittadina. Davanti all’unico locale pubblico alcuni civili erano intenti a chiacchierare e bere ouzo e rakia. In un vicolo, poco discosto dall’edificio che ospitava il Comando di Presidio, una fila di soldati si snodava davanti alla soglia del luogo di letizie che ospitava le due “crocerossine” autorizzate dalla sanità a soddisfare certe necessità naturali della bassa forza. Non si offendano le vere crocerossine, ma si sa che i soldati hanno sempre avuto un loro fantasioso gergo.

Mentre stavo fumando, vidi venire di corsa il sottotenente comandante del plotone. L’ufficiale mi disse con fare concitato: «Gentile, trova Di Nardo e digli di radunare il plotone più in fretta che può… devo parlare con i soldati subito».

Corsi verso l’accantonamento e trovai il sergente Di Nardo e gli riferii l’ordine dell’ufficiale. Con lui andammo in cerca degli uomini, facendoli radunare. Intanto, altri ufficiali subalterni erano arrivati e ognuno provvedeva a radunare i propri uomini. Si formarono vari capannelli di soldati al centro dei quali stavano gli ufficiali: ci informarono che la radio aveva diramato un comunicato del governo che annunciava la firma dell’armistizio con gli angloamericani e si dava ordine alle Forze armate di reagire a qualsiasi provocazione da parte degli eserciti nemici. Da quel momento era chiaro che il vero nemico erano divenuti i tedeschi.

Le parole del tenente furono accolte in modo contrastante e ci fu qualcuno che gridò esultante: «La guerra è finita!». Non vi fu speranza più vana. Per due giorni i nostri ufficiali cercarono di mettersi in contatto con qualche Comando superiore, ma inutilmente. Lo stato maggiore del reggimento era riunito giorno e notte. Alle porte della città si era insediato un reparto di alpini tedeschi provenienti dall’Afrika Korps. Sui monti attorno, i partigiani si davano un gran daffare.

Nella giornata del 10 ci fu finalmente una decisione. I comandanti di plotone informarono i loro uomini che il comandante, non essendo riuscito a mettersi in contatto con i comandi superiori che sembravano svaniti nel nulla, spinto dai tedeschi a prendere una decisione, lasciava ai soldati di dare loro una risposta definitiva a tre precisi quesiti: 1) raggiungere i partigiani in montagna; 2) aggregarsi al reparto tedesco per continuare la guerra con loro; 3) arrendersi a questi ultimi e, come prigionieri di guerra, essere avviati a un campo di concentramento. I soldati dopo una notte di conciliabili, decisero a maggioranza per la resa ai tedeschi. Erano stanchi di guerra: si sentivano traditi e umiliati da chi aveva deciso di abbandonarli al loro destino a 3.000 chilometri dall’Italia. Al colonnello non restò che prenderne atto. Informò il comando tedesco della decisione dei suoi soldati e chiese, come segno di stima, che fosse concesso loro l’onore delle armi.

Vittorio-Emanuele-III-e-Pietro-BadoglioE arrivò il momento. Alle prime luci dell’alba, mille soldati in armi si schierarono nella piazza della cittadina al cospetto del loro colonnello. «Soldati!», esordì, «vi ho lasciato liberi di scegliere il vostro destino. Ve lo dovevo per rispetto, perché ognuno di voi ha servito la Patria con coraggio in questi lunghi anni di guerra. Avrei voluto che la scelta fosse diversa. Un soldato che stringe ancora il suo fucile carico non dovrebbe arrendersi! Non è un biasimo il mio, è solo l’intimo pensiero di un soldato che da quasi quarant’anni serve la sua Patria. Non vi biasimo e vi comprendo. Debbo però dirvi che la strada che dovremo percorrere sarà cosparsa di spine. Vi auguro di poter raccogliere la sola, possibile, rosa che dovesse fiorirvi. È tutto! Soldati. Attenti!…Presentat arm!».

Seguirono altri ordini secchi e poi mille uomini appartenenti alle varie armi componenti del presidio si misero in marcia. Il primo sole del 12 settembre 1943 vide la lunga colonna che iniziava una “passeggiata” di 900 chilometri verso un’esistenza composta di prevedibili incognite. L’ultimo saluto venne dalle croci del piccolo cimitero di guerra, dove riposavano i commilitoni caduti nel compimento di un mal ripagato dovere, traditi da quel re che li aveva impegnati con un giuramento. E in lontananza risonavano i fragori della battaglia di Cefalonia. La guerra non era finita.

Franco Gentile profiloFranco Gentile
Vittorio Veneto
08 Settembre 2015

P.S. L’8 settembre è una data che ha segnato per gli italiani una svolta epocale e della quale non riesco a dimenticarmi. Sono Gentile-a-Kutsiniak-Belgrado-marzo-1944passati tanti anni ma per me è come fosse ieri. Con essa furono gettate le basi della repubblica democratica che oggi si tenta di mettere in discussione. Ci riflettano su le nuove e vecchie generazioni e si ricordino quanto dolore e sangue, vite umane suscitò questo atto e si oppongano a chi ci vuol riportare indietro non di settantadue anni ma di 100!.
F.G.

Cartolina a Gentile 6 ottobre 1943Cartolina datata 6 ottobre 1943, inviatami dal mio comandate di plotone sottotenente Stefani, che mi fu recapitata da un soldato che si trovava nella stazione di Edessa (Macedonia) e assisteva alla partenza della tradotta carica di ufficiali italiani diretti ai campi di prigionia. La conservo fra i cimeli e alcune foto che mi ricordano quel tragico periodo della mia vita e della vita degli italiani tutti!

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